Leopardi e Manzoni a Betlemme
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 306, p. 3
Data: 25 dicembre 1955
pag. 3
La mia famigerata carriera di « stroncatore nazionale » ebbe la prima mossa nel dicembre del 1898 in un numero unico messo insieme dagli studenti fiorentini. Vi pubblicai un articoluccio acerbo e spavaldo dove pigliavo sotto gamba l'inno del Manzoni sul Natale. A quel tempo ero ferocemente carducciano e avevo in uggia il Manzoni, i manzoniani e il manzonismo. Da parecchi lustri mi sono riconciliato di cuore col Manzoni, ma devo confessare che il mio giudizio sull'inno del Natale non è oggi molto diverso da quello del 1898. Non voglio guastare questo giorno di festa col dare qualche dispiacere ai manzoniani, ma sono persuaso che il Natale è il meno felicemente riuscito degli Inni Sacri.
Aggiungerò, piuttosto, una notizia che pochi, credo, conoscono.
Il Manzoni compose quell'inno nel 1813, ma tre anni prima era stato preceduto, in quel medesimo tema, da un ragazzo sconosciuto, che però era destinato a diventare più celebre, come poeta, dello stesso Manzoni. Era costui Giacomo Leopardi, più giovane di tredici anni del patrizio poeta milanese: appena dodicenne, nel 1810, scrisse un breve componimento in versi latini: In Nativitate Jesu.
In questi diciotto versi Gesù è nominato di sfuggita: i veri protagonisti sono i pastori invitati a celebrare con strumenti e canti la miracolosa nascita; gli angioli che scendono giù dal mondo stellare e la santa notte con i suoi fulgori. Pura e nuova poesia non c'è e non ci poteva essere: si tratta chiaramente del pio esercizio di un ragazzetto per compiacere ai genitori devoti e ai maestri preti.
E bisogna ricordare che neppure saputissimi poeti latini del Rinascimento, nè il Sannazaro del De Partu Virginis nè il Vida della Cristiade seppero illuminare con la luce della grande poesia la grotta di Betlemme.
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